Draghi attacca il Reddito di Cittadinanza. La vergogna di chi vuole recuperare risorse colpendo i più poveri

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La legge di Bilancio del 2022 contiene un pesante attacco al Reddito di Cittadinanza. L’operazione del governo Draghi ha due precisi obiettivi: ridurre le risorse destinate a questa misura, anche contenendo il numero dei beneficiari, e obbligare gli stessi ad accettare qualsiasi proposta di lavoro, anche se a diverse centinaia di chilometri da dove vivono.

Solo qualche mese fa, a luglio 2021, l’INPS aveva fornito i dati sull’efficacia della misura. Nel XX Rapporto Annuale dell’Istituto, il presidente Tridico aveva chiarito che almeno i due terzi della platea dei beneficiari è composta di persone lontane dal mondo del lavoro e quindi inoccupabili. Si tratta di persone con difficoltà psichiche e fisiche (circa 450mila), oppure minori (1milione e 350mila), oppure anziani (200mila percepiscono la pensione di cittadinanza) e che quindi per tutti loro il RdC va considerato come un reddito minimo, utile a favorirne l’inclusione sociale, invece che una misura che serve a proiettarli nel mondo del lavoro.

Eppure tutta la retorica che accompagna le modifiche introdotte dalla legge di Bilancio si concentra proprio sulla presunta inefficacia che il RdC avrebbe dimostrato come misura di inserimento lavorativo. Da qui la scelta odiosa di ridurre a due le proposte di lavoro che, se rifiutate, porterebbero alla decadenza del beneficio nonché la progressiva riduzione dal sesto mese in poi della somma percepita a fronte del rifiuto della prima proposta.

Invece di cogliere il dato macroscopico fornito dall’INPS, che ha segnalato come accanto al RdC sia stato fondamentale l’utilizzo di uno strumento aggiuntivo, il Reddito di Emergenza, introdotto con la pandemia, che è servito a coprire 1milione e 300mila persone in più (dati INPS di settembre 2021)  che non potevano accedere al RdC ma che erano comunque in condizioni di grandissima sofferenza e che scadrà a dicembre 2021, il governo Draghi si preoccupa di obbligare i percettori di RdC ad accettare lavori a basso reddito, anche part-time a tre mesi e a grande distanza dalla propria abitazione. Nel caso della prima proposta fino a 100 chilometri e a 1ora e 40 minuti di distanza, nel caso della seconda in tutto il territorio nazionale.

C’è poi una crescente insistenza verso le amministrazioni locali affinché utilizzino a titolo gratuito, fino a 8 ore settimanali, i percettori di RdC. Nella manovra c’è un preciso riferimento al fatto che i Comuni sono obbligati ad utilizzare almeno un terzo dei percettori di reddito residenti nel proprio territorio, con la specifica che si tratta di un’attività che “non è assimilabile ad una prestazione di lavoro subordinato o parasubordinato e non comporta, comunque, l’instaurazione di un rapporto di pubblico impiego con le amministrazioni pubbliche”. Qui c’è la diabolica persistenza di quanto già realizzato da decenni in tutto il paese: come già con gli LSU, come con gli APU campani, come con i tirocinanti calabresi e una infinita serie di forme di lavoro precario a salari da fame in tutta la penisola, si continua a sopperire ai buchi di organico nelle attività in capo alle amministrazioni pubbliche facendo ricorso al lavoro sottopagato (ora addirittura gratuito), con la clausola che questa persone mai potranno rivendicare un lavoro stabile.

C’è un mare di lavoro utile e stabile nella P.A. di cui ha bisogno il paese e che potrebbe dare una prospettiva dignitosa a chi vive di RdC ed è in condizione di lavorare. E invece si preferisce condannare alla precarietà cronica decine di migliaia di persone, privandole finanche del diritto ad essere considerati dei lavoratori. Una vergogna che solo la lotta ha permesso di cancellare, come ci hanno dimostrato le migliaia di lavoratori LSU finalmente assunti dopo anni di durissime battaglie, e che ora anche i tirocinanti calabresi stanno conducendo con altrettanta efficacia.

La platea dei percettori di RdC, che il reddito di emergenza ha dimostrato essere fortemente sottodimensionata, verrà sottoposta ad un controllo minuzioso e invasivo: un autentico paradosso nel paese dell’evasione fiscale, dove sfuggono ad ogni controllo miliardi di introiti di aziende e società finanziarie. Un accanimento contro i poveri che mira a colpevolizzare chi è in difficoltà e che si aggiunge alla vergogna della tessera attraverso la quale viene erogato il RdC, che vincola i beneficiari all’acquisto di generi specifici e che ha un forte senso stigmatizzante.

L’attacco al RdC è parte di una guerra che il governo Draghi conduce contro i poveri. Nel paese con i salari più bassi, davanti ad un fortissimo aumento delle tariffe, in prossimità dello sblocco generale dei licenziamenti, una misura come quella del RdC andrebbe fortemente potenziata ed allargata e invece la si riduce. Per combattere le disuguaglianze forse il primo obiettivo è quello di liberarsi del governo Draghi.

Unione Sindacale di Base

29-10-2021