Argomento:

I PADRONI SI GODONO I PROFITTI, TANTO A TIRAR LA CINGHIA CI PENSANO I LAVORATORI …… VACCHE DA MUNGERE!!!

Secondo un recente rapporto della Bri (Banca dei regolamenti internazionali) la quota di profitto dei padroni italiani, rispetto al Prodotto Interno Lordo nel 1983 era del 23,1, nel 1988 era del 27,5, nel 1994 era del 28,9, nel 1998 balzava al 32 per attestarsi nel 2005 al 31,1.

Oggi, secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico gli stipendi in Italia sono fermi a 20.600 € ed il livello dei salari è più basso del 20% rispetto agli altri paesi dell’Oecd e questo a fronte di un monte ore lavorative non affatto proporzionato alle paghe ricevute!!!

 

In Italia, secondo le rilevazioni dell’OECD, che confermano quelle dei giorni scorsi dell’OCSE, nel 2007 si sono lavorate in media 1.824 ore con un aumento di dieci ore rispetto ai valori del 2006. Il dato potrebbe sembrare non sconcertante se non scoprissimo che in Svizzera, dove le paghe sono quasi il doppio che in Italia, circa 38.939 €, il numero di ore medie lavorate ogni anno da un lavoratore svizzero è di 1657 ore con uno scarto negativo del 10% rispetto ai valori fatti registrare dal nostro “Bel Paese” …. In Germania il monte ore scende addirittura a 1.433 e gli Svedesi addirittura sono rimasti a lavorare per sole 1.411 ore!!!

 

Negli ultimi sette anni abbiamo avuto due governi di segno “opposto” (si fa per dire): prima di centro destra poi di centrosinistra. Ambedue hanno regalato montagne di soldi ai padroni mentre i salari, come ci segnalano osservatori qualificati esterni e certo non di parte, sono rimasti fermi. A fronte dell’ingrasso dei profitti i lavoratori si trovano oggi in mano ben 8 punti in meno di PIL (Prodotto Interno Lordo), uguali a 120 miliardi di euro!! Divisi per i 23 milioni di lavoratori, considerando anche gli autonomi (professionisti, artigiani, commercianti ecc.) la media annua sarebbe di 5.200 € in più a testa. Se consideriamo invece solo i 17 milioni di lavoratori dipendenti, questi dovrebbero avere nelle loro buste paga 7.000 € in più ogni anno. Altro che taglio dell’ICI o delle aliquote IRPEF.

 

Oggi più che mai dobbiamo porre all’ordine del giorno UNA PIU’ EQUA REDISTRIBUZIONE DELLA RICHEZZA … altro che l’inflazione programmata, dal neo Governo Berlusconi, all’1.7 per il 2008, perché il PIL è fermo, l’Italia non cresce, è il disastro.

 

Questi dati mostrano quanto sia falso misurare la ricchezza del nostro paese in base al PIL. Questa si è pura ideologia, ideologia a tutto vantaggio del capitale.

 

A questa deriva ideologica, che identifica la ricchezza del nostro paese con la ricchezza che avidamente e famelicamente continuano ad accumulare i padroni, a tutto danno dei lavoratori, dei pensionati, sta ulteriormente lavorando anche l’attuale Governo di centrodestra che si trova senza opposizione politica e ora questo vuoto politico, che dura da troppi anni, i padroni lo vogliono trasportare sul piano sociale, questa è la loro grande occasione, questa volta vogliono davvero tutto, hanno anche il consenso di organizzazioni sindacali come la CISL e la UIL e una CGIL che dice di non essere d’accordo ma che poi si adegua a fare le stesse cose.

 

CISL “BONANNI su Il Messaggero del 30 giugno 2008” dice: “ricordo che senza generazione di ricchezza non ci può essere redistribuzione, mentre se non si crea ricchezza i salassi sono certi” e continua: “bene intanto la detassazione degli straordinari e delle altre voci variabili che da misura semestrale va resa strutturale con la Finanziaria. … A settembre vogliamo arrivare con l’intesa sulla riforma del modello contrattuale, in modo che tutti possano fare la loro parte. E’ una misura che costa poco all’erario perché è collegata appunto alla maggiore produttività”.

UIL “ANGELETTI su Il Sole 24 Ore del 25 giugno 2008” dice: “Stavolta non c’è alternativa. Né per noi né per le imprese: l’intesa si deve fare, darà ordine a una materia fondamentale per il rilancio dell’economia. E’ la prima volta che tutti i sindacati parlano di produttività e non era un risultato scontata …. L’idea di far crescere la torta dell’economia per poi spartirla”. (l’eterno ritornello dei due tempi sic).

CGIL “EPIFANI su La repubblica del 24 giugno 2008” dice: “ La lettura delle organizzazioni sindacali non è sempre omogenea …. Ma è chiaro quanto è importante la tenuta unitaria, a cominciare da fisco e modello contrattuale” e prosegue senza trarre le dovute conclusioni “le scelte del governo, se confermate, non vanno nella direzione giusta”. Alla fine pur protestando e richiedendo un aumento dei salari si dice disponibile a rivedere le regole  della contrattazione e  chiede (assieme a CISL e UIL) che gli aumenti si calcolino in rapporto all’”inflazione realisticamente prevedibile” … In totale, per il 2008, fa il 3,3 – 3,4 % …. certo il doppio dell’inflazione programmata ma sotto a quella reale registra in queste settimana dall’ISTAT del 3,8% che per i beni di maggior consumo dichiara essere al 5,4%.

 

Nel frattempo “ La Repubblica del 25 giugno 2008” Il Ministro Tremonti smentisce il programma elettorale della sua coalizione e a sorpresa presenta la versione definitiva del Documento di programmazione economica 2009-2013 dove la pressione fiscale non scende. Stando alle cifre programmatiche diffuse il rapporto delle tasse rispetto al PIL lasciato dal governo Prodi nel 2007 a livello del 43,3 % resterà immutato al 43% nel biennio 2008-2009 per scendere al 42,9 nel 2013. … mentre il ministro Sacconi “Il Mattino del 29 giugno 2008” propone un “Patto anticrisi” : “CGIL, CISL e UIL firmino un nuovo accordo sulla contrattazione” e promette: “noi ci impegneremo subito a ridistribuire la ricchezza”.

 

Quindi precisando, a scanso di equivoci, che non si intende innescare polemiche sui ragionamenti di queste dirigenti sindacali che hanno il diritto di ragionare diversamente dalla CUB, la CUB ha l’altrettanto eguale diritto e dovere di dire che, per quanto sopra riportato, ritiene il percorso intrapreso da CGIL-CISL-UIL in linea con quello di Confindustria in quanto questo prefigura la fine del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.

 

Così come la riforma della scala mobile, negli anni ottanta (periodo in cui la quota di profitto, dei padroni italiani, rispetto al Prodotto Interno Lordo era del 23,1), di fatto ne ha sancito la sua cancellazione …. Così oggi, dietro a quello che stanno trattando “LINEE DI RIFORMA DELLA STRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE”, si nasconde l’abolizione del CCNL.

 

Così, mentre la scomparsa della scala mobile ha prodotto una disuguaglianza sociale di grande rilievo sotto l’aspetto economico, i salari non hanno retto l’inflazione il rinnovo del CCNL, che per altro avviene sempre in ritardo e accordi al ribasso, è rimasto l’unico strumento di difesa per limitare i danni prodotti da una classe industriale che continua a pensare e a perseguire solo il mero profitto.

 

L’attacco al Contratto Nazionale cercato dal padronato, in nome di una ripresa della produttività, di competizione nel mercato, è un attacco al salario. Secondo la Confindustria si potrà trattare il rinnovo contrattuale in tavoli di secondo livello diversi da città a città. Riusciamo immaginare una trattativa per l‘aumento salariale con i dirigenti locali? Con gli stessi dirigenti locali con cui è già impossibile trattare il rispetto dei minimi di sicurezza? E’ la celebrazione della deregulation, l’apoteosi della lotta  fra poveri del “m’arrangio, faccio da solo, faccio straordinari

 

Il salario potrà aumentare in più solo per quei lavoratori che “avranno la fortuna” di poter lavorare di più perché glielo concederà il padrone che deciderà, lui, chi farà lo straordinario.

Gli altri potranno farsi solo la guerra fra poveri.

 

La contrattazione, oggi più che mai, deve affrontare e risolvere i problemi dei lavoratori a partire dai salari non legandoli alla produttività, alla quantità di ore e ai carichi di lavoro.

La contrattazione deve dare risposte anche alle richieste di maggior sicurezza, tutela della salute, di cancellazione della precarietà!!! Vanno respinte le norme, previste dal governo, sugli straordinari e sul salario variabile, perché incentivano l’autosfruttamento e istillano la convinzione, sbagliata, che la paga cresce solo con l’aumento delle ore lavorate … che oltre tutto interesserebbe solo una piccola parte di lavoratori.

 

La ridistribuzione della ricchezza deve tornare a favore dei lavoratori facendo giustizia della rapina che hanno subito in questi anni a seguito dei vari accordi di luglio e dell’abolizione della scala mobile.

 

 

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