Alitalia, la "dottrina Calenda" e l'arte del non detto. Un ministro sempre più sbagliato al posto sbagliato
Nell’intervista rilasciata domenica a Lucia Annunziata su RAI3, il ministro Calenda impartisce un’altra lezione della sua personale dottrina su Alitalia, spazzando via altre ipotesi sorte dopo il varo del decreto fiscale da parte del Governo.
Calenda conferma che le proposte vincolanti per la vendita saranno presentate entro oggi 16 ottobre e che l’estensione del prestito ponte e l’incremento a 900 milioni di euro serviranno solo a gestire la complessa e lunga fase di vendita durante la campagna elettorale. Il ministro non nasconde che le proposte potrebbero essere penalizzanti per la compagnia e i suoi lavoratori, ma sono proprio quei dipendenti macchiatisi dell’orrendo crimine di lesa maestà per aver rigettato la “sua” proposta, quindi che se ne assumano pure tutte le conseguenze.
Tutto questo condito dal solito refrain sui troppi soldi pubblici già spesi per Alitalia, come se l’azienda fosse ancora pubblica e non privatizzata dal gennaio 2009 (praticamente 9 anni fa) e quei soldi non fossero stati spesi per garantire manager e azionisti indegni e i loro piani fallimentari.
L’asprezza delle dichiarazioni di Calenda nonché il tono usato per parlare di una questione che tocca il futuro di un settore strategico e il posto di lavoro di migliaia di cittadini italiani, basterebbero per una censura rispetto al ruolo che dovrebbe avere un ministro della Repubblica Italiana ancora fondata sul lavoro.
Ma il ministro Calenda, nel suo furore ideologico, si è abilmente tenuto alla larga da molte questioni:
- non si fa chiarezza sul reale stato di Alitalia, i commissari ribadiscono di non avere -ancora- toccato un euro del prestito mentre il bilancio 2016 non è stato mai presentato;
- proprio grazie al no al referendum, sono emersi una serie stupefacente di costi fuori mercato e fuori controllo per centinaia di milioni di euro sui quali si potrebbe e si dovrebbe agire.
- Proprio per questo, l’azienda è stata dichiarata risanabile dagli stessi commissari mentre è stato ampiamente dimostrato che il dato sul costo del lavoro Alitalia è persino inferiore a quello di molti concorrenti;
- la crisi di RyanAir ha smascherato le miserie del Trasporto Aereo, nonché le colpe di governo e Enac che hanno permesso a Ccmpagnie spesso senza scrupoli di imperversare nel nostro paese causando la crisi Alitalia.
Sono tutte questioni dirimenti sulle quali si deve fare chiarezza per comprendere se la vendita “a tutti i costi” di Alitalia sia solo il sacro oggetto del desiderio di un ministro sempre più sbagliato al posto sbagliato oppure non sia una iattura pianificata per un paese come il nostro.
A nostro avviso, Calenda ha dichiarato guerra non tanto e non solo ai lavoratori Alitalia ma allo stesso sviluppo economico italiano.
Per questo i lavoratori Alitalia, i primi ad avere a cuore lo sviluppo della propria compagnia e dell’intero martoriato settore, faranno la propria parte con lo sciopero generale del 10 novembre prossimo.
Unione Sindacale di Base - Lavoro Privato