ITA, il parere UE tra errori e ingerenze riporta l'Italia ai tempi di Metternich. Alitalia è ormai un caso politico: non si può più far finta di nulla
“Espressione geografica” fu il termine utilizzato dal cancelliere Metternich per definire l'Italia durante il congresso di Vienna, poco più di 2 secoli fa. Leggendo il comunicato di venerdì 10 della commissaria UE alla Competizione, Margrethe Vestager, che preannuncia il parere ufficiale sul prestito ponte ad Alitalia, sembra di essere tornati a quei tempi.
Ci troviamo davanti a un accordo pessimo, che frustra le ambizioni di un Paese di disporre di un vettore aereo pubblico di dimensioni adeguate nel terzo mercato aereo europeo, che sarebbe dovuto nascere dalle ceneri di un Alitalia fatta fallire da 9 anni di gestione privata. Oltre a questo, le indicazioni annunciate nel parere ufficiale travalicano le competenze della commissione e manipolano pericolosamente alcuni termini legali e procedurali per mettere ulteriormente in difficoltà i lavoratori italiani.
In attesa di disporre del testo completo che sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale, il comunicato definisce la procedura di amministrazione straordinaria in cui si trova il Gruppo Alitalia come “bankruptcy” (bancarotta o liquidatoria) quando è evidente come la stessa ricada nella categoria “insolvency” (insolvenza con attività in continuità come è da 4 anni) prevista specificatamente dagli ordinamenti europei. Un errore così marchiano non avviene per caso: esso espone migliaia di lavoratori Alitalia insieme al patrimonio della compagnia a esiti ben più nefasti da quelli garantiti invece da una corretta applicazione della procedura di amministrazione straordinaria.
All’interno dello stesso comunicato, però, Margrethe Vestager si spinge in una inaudita ingerenza su questioni italiane interne come la gestione del personale e i trattamenti contrattuali dei lavoratori. Compiacersi perché la discontinuità tra Alitalia e ITA si sviluppi attraverso migliaia di licenziamenti, cancellando le previsioni dell’art.2112, facendo attingere il personale dal mercato e applicando nuovi contratti “adeguati al mercato” (tradotti con un meno 30% del vigente contratto nazionale) in barba alle leggi nazionali e ai regolamenti della stessa UE, è una cosa mai vista. Soprattutto perché viene da una commissaria che si è sempre astenuta dal censurare i dumping contrattuali, fiscali, contributivi e sociali di cui beneficiano a piene mani alcune aziende in questo stesso settore, mentre nel pieno della pandemia ha concesso aiuti ad altre compagnie con cifre sopra i 20 miliardi, lesinando al contrario gli spiccioli all’Italia.
Il punto è che la Commissione UE non è infallibile né sopra la legge, così come non lo sono i nostri governanti a partire da Mario Draghi e i ministri del suo Governo. A nostro avviso l’intero passaggio tra Alitalia e ITA si trova in un contesto di forte dubbio sulla legittimità, come peraltro dibattuto durante i lavori del convegno tenuto il 9 settembre scorso insieme al Centro di Iniziativa Giuridica Abd El Salam (Ce.In.G.).
Questo accanimento richiama i fasti di Metternich ma soprattutto ha molte similitudini con quanto accaduto in Grecia anni fa con effetti devastanti per il tessuto sociale di quella nazione. Si procede alla definitiva "low-costizzazione" del trasporto aereo italiano, forse solo il primo tra i settori strategici che subiranno lo stesso destino nel nostro Paese, come merce di scambio per i soldi del PNRR.
È evidente come la questione Alitalia abbia ormai abbandonato la dimensione di vertenza aziendale per assumere quella di un vero e proprio caso politico dentro il quale si giocano il futuro industriale e le politiche del lavoro nel nostro Paese.
Non possiamo dimenticare come l’intervento pubblico in Alitalia nasca dai fallimenti provocati dai privati con la complicità dei governi precedenti, con costi lievitati a causa di 4 anni perduti, provocati dai ritardi e dai tentennamenti di quelli che si sono succeduti dal maggio 2017.
Al momento “ITA somiglia sempre meno a una compagnia aerea e sempre di più a un esperimento sociale” (cit. Ugo Arrigo): la dotazione di 3 miliardi è già più che dimezzata, mentre le dimensioni, lo smembramento societario, gli esuberi e la cancellazione del CCNL preparano il terreno per la futura svendita ai grandi competitori di qualcosa che somiglia alle peggiori low cost.
Siamo messi malissimo se le prospettive d’intervento pubblico in Italia possono solo mirare a costruire aziende di dimensioni inadeguate, con lavoro sottopagato e cancellazione dei diritti sociali, familiari, salariali, pensate e portate avanti per lasciare il mercato in mano ai grandi gruppi europei e sovranazionali.
Se questo passa per 10.800 lavoratori di Alitalia, dentro un’azienda posseduta al 100% dallo Stato, chi potrà mai assicurare che tutte le altre grandi crisi industriali, dall’ILVA alla GKN passando per Whirpool e le altre, potranno avere un destino migliore?
Il livello dello scontro impone a tutti i principali leader politici e sindacali di prendere una posizione netta e chiara in questa vicenda che tocca tematiche che afferiscono a tutto il mondo del lavoro, alla sfera delle relazioni industriali nonché al contesto giuridico nazionale.
Una presa di posizione che parta dal rimettere in discussione un progetto industriale che nasce morto e ponendo subito con forza al centro del dibattito la questione della salvaguardia integrale dei livelli occupazionali, di quelli salariali e dei diritti contrattuali nazionali acquisiti dei dipendenti di Alitalia, di tutto il trasporto aereo e di tutto il Paese.
Se questo non verrà fatto sarà ancora più chiaro che forse il mandante di questa strage sociale e della “normalizzazione” dei lavoratori Alitalia e dell’Italia intera non sta solo a Bruxelles ma anche a Roma.
Dal canto suo USB non farà un passo indietro e continuerà a rivendicare con il negoziato e con la lotta tutte quelle misure che impediscano questo scempio che è destinato ad avere effetti a cascata su tutti i lavoratori italiani. Continueremo ad “assediare” le piazze insieme ai lavoratori, a partire dallo sciopero generale nazionale proclamato dal sindacalismo di base per lunedì 11 ottobre, verificheremo insieme a Ce.In.G la tenuta legale di questo processo e continueremo a lanciare un appello a tutte le grandi crisi industriali (dall’ILVA alla GKN) per mobilitarsi insieme contro questo scempio.
Ci sono gli spazi, ci sono gli strumenti, ci sono persino i precedenti che confermano la possibilità di risolvere positivamente crisi di dimensioni analoghe se non addirittura maggiori. Bisogna disporre della volontà politica e scegliere bene, questa volta, da che parte stare.
Unione Sindacale di Base
13 settembre 2021