L'Alitalia, la F.I.A.T, il sindacato, gli strumenti e i lavoratori
Prendiamo spunto dal caso Fiat, per fare riflessioni in merito alla situazione del Paese e sulla funzione del sindacato, argomento sul quale ci siamo più volte espressi in questi due anni di esistenza di Cai all’indomani della sconfitta della grande vertenza Alitalia.
Oggi nessuno può più ignorare le trasformazioni delle condizioni d’impiego che la categoria ha subito, i grimaldelli utilizzati per forzare la legislazione del lavoro vigente ed il sovvertimento compiuto attraverso il “Lodo Letta”, nel rapporto tra azienda e sindacato.
L’operazione che ha trasformato la nostra realtà, quella di un’impresa pubblica in un’azienda privata, doveva essere fatta a determinate condizioni. Cioè quelle che avrebbero dovuto aprire le porte al ripensamento dei rapporti tra capitale e lavoro in Italia, attuate con un modello “esportabile”. E’ ciò che sta accadendo a distanza di due anni dai fatti di allora in F.I.A.T.
La privatizzazione poteva partire con la modifica normativa legislativa più consistente: l'esclusione dell'articolo 2112 del codice civile, approvata all’epoca esclusivamente per consentire la nascita della famosa Newco.
Alla luce di quanto vediamo accadere oggi, possiamo dire che si trattava delle prove generali di un processo finalizzato al raggiungimento di ben altri obiettivi e di cui solo ora, osservando a distanza il caso FIAT, se ne percepisce il disegno, la portata ed i prodromi devastanti per i lavoratori ed i cittadini di questo Paese. Si capisce anche che le due vicende sono sullo stesso percorso, e la questione Fiat è un’evoluzione dei provvedimenti sperimentati con Alitalia e viceversa. Anche in Fiat infatti, per effetto dell’accordo Mirafiori, si derogherà per il “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda".
Il primo punto nell’agenda del padronato è il ridimensionamento oggettivo del ruolo sindacale ed in particolare delle sigle che pretendono di conservare principi, diritti di rappresentanza, democrazia. Questa operazione non può prescindere dalla scelta degli interlocutori privilegiati per rendere sostenibile il progetto.
Quello che ad esempio, si vede oggi in Cai, è il volto nuovo che le relazioni industriali dovevano avere all’indomani della dissoluzione di Alitalia SpA. Gli interpreti di questi nuovi sentimenti sono i sindacati che hanno deciso di smettere di lottare per il diritto. In Alitalia l’attacco doveva essere portato a S.d.L. Intercategoriale, oggi U.S.B., ed alle associazioni di categoria Anpac ed Up.
Il secondo punto è nel superamento dei contratti nazionali e l’adeguamento alle condizioni di mercato più basse possibili. Oggi le aziende cercano di trovare il modo per forzare gli accordi contando sulla paura dei lavoratori di perdere il posto di lavoro promettendo in cambio condizioni economiche migliori. Ma questo non vale sempre, e si procede più frequentemente con il dumping sociale interno adottato ad esempio in Alitalia e creato con il contratto Cityliner.
Il terzo punto è la modifica dei meccanismi di rappresentanza che sono un ostacolo insormontabile a questo nuovo corso sociale, realizzata ed aiutata attraverso la compressione del diritto di sciopero. Lo sciopero è stato di fatto eliminato come manifestazione del conflitto in Alitalia, dovendosi nascondere ogni opposizione interna. Il ruolo del governo in questo è stato pieno. Nel caso Fiat la limitazione del diritto di sciopero è inserita nell’accordo Mirafiori ed arriva ad ipotesi di licenziamento del lavoratore che vi aderisce.
Tutto si svolge sotto il ricatto dell’occupazione ed il richiamo al senso di responsabilità si riduce ad un risultato che è la semplificazione dei rapporti tra le parti, basata su una condizione: il lavoro oppure la disoccupazione. I lavoratori vengono caricati di un’enorme responsabilità, anche etica, che va oltre il proprio dovere come è accaduto nel caso del referendum a Torino.
Il falso piano delle prospettive di sviluppo proposte dalle organizzazioni industriali ed il dato “della necessità” tengono sotto il ricatto i dipendenti posti di fronte a ristrutturazioni pesantissime che vengono spacciate come inevitabili passaggi per il rilancio delle aziende: la conservazione del posto di lavoro è l’unico punto ritenuto qualificante per le discussioni in merito. Questo è quello che grosso modo è avvenuto in Alitalia, questo è quello che sta avvenendo in Fiat, con piccole differenze.
Il problema è che il mantenimento dei posti di lavoro anche a costo d’enormi sacrifici non è per nulla scontato ed i trattamenti arretrano in modo sorprendente, impensabile fino a pochi anni fa.
Lo abbiamo visto bene in Alitalia. La sabbia scorre nella clessidra rovesciata il 13 ottobre 2008 segnando il tempo che resta ai lavoratori che ancora usufruiscono degli ammortizzatori sociali e che a breve saranno accompagnati nel mondo dell’emarginazione dal lavoro.
Il sindacato che resiste è lasciato da solo a difendere i valori della sovranità democratica e dell’equità ed i lavoratori sono gli unici a pagare il prezzo delle richieste padronali. I casi sono eclatanti: il superamento del meccanismo di rappresentanza diretto delle R.S.U. previsto dall’Accordo F.I.A.T. Mirafiori, o la negazione dell’applicazione della Legge 151/01 T.U. della maternità in Alitalia Cai, dove sono alienati i diritti di legge applicati sul territorio dello Stato ad una parte delle dipendenti assunte.
La politica è debole, si piega alle questioni economiche presentate semplicemente come questioni attinenti “l’organizzazione del lavoro” ed è incapace di chiedere conto delle scelte industriali strategiche fatte in Italia evitando di prendere posizioni sui principi e sui punti nodali al centro di queste vertenze perché non trova le risposte ai problemi a cui ci inchioda la globalizzazione dei mercati. Lo strumento offerto dall’attuale governo è quello che sostiene le aziende nella rivisitazione delle leggi di tutela il cui apice è rappresentato in modo emblematico dalla imminente presentazione dello Statuto dei Lavori pronto a sostituire la Legge 300/70 pietra miliare e traguardo delle lotte dei lavoratori tra il dopoguerra e gli anni 70.
Qual è quindi il ruolo del sindacato oggi? E’ quello che porta alla mediazione ad ogni costo nella trattativa con le aziende nella momentanea illusione di mantenere i posti di lavoro? E’ quello di spuntare condizioni che rasentano il minimo accettabile? Oppure arriva ad oltrepassare la sua funzione nella composizione delle vertenze, dovendosi piuttosto impegnare nella difesa dei capisaldi della democrazia la cui radice d’applicazione nel mondo del lavoro non è diversa da quella della vita civile?
La risposta è nella valutazione della vastità dell’attacco al mondo del lavoro. La modifica dei meccanismi di contrattazione ad ogni livello è avallata dal governo in modo pieno, in una sorta di riscatto ideologico del gruppo sociale che rappresenta. E’ di pochi giorni fa la dichiarazione strabiliante del presidente del Consiglio che, incurante degli interessi del Paese, si schierava con “l’architetto supremo” Marchionne. Poco importa che, nel caso di vittoria dei No al referendum sull’accordo Mirafiori, l’A.D. di Fiat aveva dichiarato di voler dirigere altrove i propri investimenti e di ridimensionare la produzione di Torino e degli altri impianti italiani. La risposta è nella capacità delle opposizioni politiche di farsi nuovamente interpreti delle necessità dei cittadini e dei lavoratori restituendo la mediazione sui contratti al mondo sindacale e che però in questo momento manca totalmente.
In tutto questo, cosa hanno fatto i lavoratori, cosa pensano adesso?
La disillusione per la conclusione della vertenza Alitalia accompagnata dall’arretramento sindacale, culturale ed intellettuale ha preso il sopravvento. Le responsabilità di questa situazione sono state attribuite agli unici soggetti sindacali che, al contrario, si erano mobilitati per limitarne i danni. Ad oggi ancora ci si nasconde dietro quest’alibi che sembra essere solo una risposta emotiva. Era talmente evidente che fossero necessari strumenti nuovi, che senza un nuovo slancio il sindacato non avrebbe mai potuto contrastare queste prospettive. Il lutto generale è stato elaborato ma in senso negativo, dalla frustrazione si è passati all’assuefazione perdendo la connotazione di “categoria”. Nel frattempo registriamo la sostanziale tenuta degli accordi ed il rafforzamento dei protagonisti dell’intesa conditi da una sostanziale passività dei lavoratori. Siamo tornati a vedere imperare quel clientelismo e il ripristino del legame forzato di fedeltà realizzato attraverso le strutture sindacali ed aziendali, pratica che per anni abbiamo combattuto nel nome della trasparenza, dell’oggettività dei criteri e della dignità che ogni lavoratori merita.
Ecco perché nel 2010 dalle esperienze fatte sin qui è nato USB. Il progetto viene anche sull’onda della sconfitta Alitalia e dalla considerazione della saldatura di un fronte ampio e composito che intendeva ed intende attaccare il diritto dei lavoratori e la libertà d’espressione sindacale del supporto aperto di tre sindacati confederali e dell’ambiguità della Cgil e della mancanza di qualsiasi opposizione politica. USB si misura su un terreno diverso, di sindacato diffuso sul territorio ed in centinaia di migliaia d’iscritti sparsi in tutti i settori.
Sorprendentemente oggi il risultato del referendum fatto a Mirafiori torna a riaprire le sensibilità e le coscienze ed i dibattiti ben oltre la vicenda che si svolge in F.I.A.T. I lavoratori, nonostante i condizionamenti, mostrano la disponibilità ad opporsi a tutto questo, nelle percentuali del risultato referendario i No rappresentano l’indicazione che i dipendenti danno aldilà della appartenenza sindacale. Risulta evidente e sorprende il “buon senso” di tutti i tifosi del modello Newco: non si possono alienare diritti indisponibili alle aziende, non è possibile procedere nei progetti di ristrutturazione senza tenere conto del consenso.
Quindi all’indomani della consultazione, le complesse letture che saranno date, faranno i conti con “il coinvolgimento” dei lavoratori che viene già interpretato. Si ipotizzano soluzioni per la parziale modifica delle iniziative di Marchionne. Si pensa ad un’interazione che vedrebbe i lavoratori rappresentati nei consigli di amministrazione secondo i modello delle aziende tedesche dell’auto o riferendosi al caso della Chrysler dove i dipendenti sono di fatto proprietari dell’impresa. L’accrescimento dei poteri che sarebbe concesso ai lavoratori sarebbe trasparente e ripagato? Non troppo casualmente anche questa strada è già stata sperimentata nella storia della nostra industria. Per primi in Italia i lavoratori di Alitalia saggiarono i pessimi risultati dello scambio “sacrifici per la partecipazione azionaria”, sempre sotto la regia delle organizzazioni sindacali confederali coinvolte nei consigli di amministrazione. Più realisticamente ci aspettiamo che, nelle intenzioni, l’accordo Mirafiori sia rapidamente esteso a tutti gli impianti. I problemi organizzativi non saranno risolti e Fiat inizierà il trasloco oltre oceano verso Detroit. Un po’ come Alitalia si appresta a diventare francese.
Le vicende di Alitalia e Fiat sono evidentemente e fatalmente allacciate. Come in uno specchio l’una è il riflesso dell’altra. La sorte delle persone che hanno conosciuto o che conoscono queste due aziende è stata simile, alla fine sarà la stessa. Una nuova coscienza del lavoro, un ritrovato bisogno di dignità diventeranno il sostengo di chi da ora in poi non vorrà più ignorarne i destini e cercherà in queste storie il senso del sindacato. I lavoratori Fiat ci mandano un messaggio chiaro che parla a ciascuno di noi: cogliere una nuova opportunità per difendere il proprio futuro.