Privatizzare i porti per fare cassa? Dopo Tajani anche Salvini accelera, dai portuali USB una ferma opposizione

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Ormai è chiaro a tutti che il Re è nudo e che questo Governo dovrà rimangiarsi molte delle promesse fatte in campagna elettorale.

Quindi, quale cosa migliore se non quella di cercare le risorse che non ci sono, grazie all’economia di guerra e ai vincoli europei, tornando a utilizzare gli strumenti e le procedure già utilizzate per fare quella carneficina sociale che da 20 anni sta massacrando le classi popolari e dei lavoratori di questo Paese.

In questo senso vanno le dichiarazioni rilasciate dal palco del Meeting CL di Rimini dal vicepresidente del Consiglio, nonché ministro degli Esteri, Tajani: privatizzare i porti italiani per trovare altre risorse per tagliare le tasse ai ricchi e a chi “produce”. Dichiarazioni seguite a distanza di pochi giorni da quelle del Ministro delle Infrastrutture Salvini in merito alla riforma dei Porti.

Noi crediamo che non esista più nessuno dotato di media intelligenza in Italia che, dopo aver assistito all’impoverimento generale generata dalle privatizzazioni e la distruzione dell’IRI degli anni 90 e prima decade del 2000, possa ancora pensare che i regali di asset produttivi ai privati servano davvero al miglioramento delle condizioni del Paese e non solo alle tasche di chi fa questi affari. E non dobbiamo certo ricordare quanto fatto da Colaninno ai danni di Telecom e di Alitalia a pochi giorni dalla sua morte.

Una condizione che sarebbe ancora più penalizzante per gli interessi collettivi se consideriamo il ruolo assolutamente strategico che i porti hanno nel controllo e nella circolazione delle merci e nella creazione di quella filiera del valore che sarebbe di fatto consegnata agli interessi privati di armatori e società interessate solo al profitto. È questa l'idea del Governo per la riforma dei porti? Un Governo che sta contemporaneamente evitando qualsiasi confronto con le parti sociali nonostante la recente accelerazione rispetto alla “fantomatica” riforma dei porti che vorrebbero approvare entro l’anno.

Una proposta non solo assurda ma che è stata già sperimentata negli scorsi decenni nei suoi effetti nefasti ai danni dello Stato, dei suoi cittadini e lavoratori.

Ricordiamo quanto già accaduto in altri asset strategici quale gli aeroporti italiani, diventati il bancomat di aziende private causando l’impoverimento del lavoro, la proliferazione di appalti al ribasso e condizioni di lavoro sempre meno salubri e sicure.

Quella di impoverire il lavoro e renderlo più ricattabile a favore di questa mediocre classe produttiva, sembra essere l’unica promessa elettorale che questo Governo sta realmente mantenendo.

USB non solo giudica irricevibile qualsiasi ipotesi di privatizzazione dei porti, ma rilancia le proposte già elaborate di rafforzamento del ruolo e controllo pubblico delle authority in tutti i porti italiani oltre la ferma opposizione ai tentativi di sdoganamento dell' autoproduzione, evitando operazioni folli come quelle che hanno portato alla nascita di ITA.

C’è la necessità di ricentralizzare il lavoro nelle banchine, di sottrarlo ai monopoli armatoriali e alla follia degli appalti oltre a renderlo più sicuro, portandolo al dovuto riconoscimento di usurante, altro che privatizzazione!

Su queste parole d’ordine, USB Mare e Porti prosegue e rilancia la vertenza già in atto; l’espansione di USB in tanti scali italiani è il primo vero segnale di opposizione non solo ai privati ma anche a uno stato di cose insoddisfacente. È inimmaginabile che quelle organizzazioni che hanno avallato negli ultimi trenta anni le privatizzazioni possano oggi ergersi a paladini dei portuali.

In Italia non c’è bisogno di privati che piangono i morti e fottono i vivi, ma di investimenti e di tutela degli interessi collettivi.

Ricostruire l’IRI sarebbe davvero la grande idea di cui ha bisogno l’Italia.

Coordinamento Usb Mare e Porti