Stop autoproduzione, il lavoro nei porti è e deve rimanere dei portuali
Ci sono giunte diverse segnalazioni, nelle ultime settimane, di svariati casi di autoproduzione. Personale marittimo che svolge operazioni di rizzaggio e derizzaggio su navi RO.RO della Grimaldi mettendo a rischio la propria sicurezza e gravando notevolmente sulle condizioni fisiche (un lavoro svolto da 14/15 portuali viene svolto da 5 marittimi). Stessa cosa per alcune navi car carrier: intere navi rizzate e derizzate da lavoratori marittimi che, oltre a svolgere le proprie mansioni contrattuali vengono “utilizzati” per le operazioni portuali.
In questo modo, l’armatore di turno, ricava il massimo guadagno in barba alla sicurezza e alle leggi vigenti. Complice l’Unione Europea che con cadenza regolare prova a legittimarla strizzando l’occhio ai privati, questa pratica si inserisce in un contesto in cui l’Italia, solo di recente, ha cercato di legiferare il tal senso per evitare anche la sacrosanta reazione dei lavoratori portuali.
Ma, come si dice, “fatta la legge trovato l'inganno”. Difatti esiste all’interno della legge una deroga che consente l’autoproduzione dove non sono presenti art. 18, 17 e 16 o dove quest'ultimi non abbiano personale sufficiente allo svolgimento delle operazioni di bordo. Tale cavillo lascia un pericoloso spiraglio all’ingordigia degli armatori.
Questa situazione a nostro avviso deve finire. Troppo spesso i lavoratori marittimi ci rimettono la vita anche per i carichi di lavoro eccessivi.
Il lavoro nei porti è e deve rimanere dei portuali. Il coordinamento porti USB, da poco formato ma già ben conscio della situazione in cui si trovano gli scali italiani, segnalerà agli organi competenti ogni forma di autoproduzione di cui verrà a conoscenza. Un primo passo fondamentale per arginare un fenomeno che sottrae posti di lavoro, aumenta i rischi di infortunio, aggrava le condizioni fisiche dei marittimi e limita la redistribuzione degli utili ai lavoratori.
Coordinamento nazionale Mare e Porti USB